La renna (Rangifer tarandus) è uno dei pochi esseri viventi a proprio agio nelle regioni artiche dove, in inverno, le temperature scendono fino a 50 °C sotto lo zero. Ma il clima impazzito fa soffrire anche lei.
Lo spiega uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Global Change Biology: l’aumento delle temperature provoca, in quelle regioni, piogge anziché nevicate. E così, quando la temperatura torna sotto lo zero, l’acqua piovana diventa uno strato di durissimo ghiaccio che gli zoccoli delle renne non riescono a rompere per raggiungere i licheni e il muschio di cui si nutrono. Pensate che, negli ultimi 20 anni, la penuria di cibo ha portato la taglia delle renne da circa 55 chilogrammi ad appena 48.
La renna, in Nordamerica, viene chiamata caribù, appartiene alla famiglia dei cervidi e si è perfettamente adattata alle condizioni ambientali estreme della tundra artica. I cuccioli, per esempio, nascono tra maggio e giugno e, per non finire tra le grinfie di orsi e lupi, sono molto precoci: pochi minuti dopo la nascita già succhiano il latte della madre, dopo un’ora la seguono e, entro il primo giorno di vita, arrivano a correre più veloci di un uomo! Restano legati alla madre per un mese, poi cominciano a pascolare in autonomia.
Nelle zone artiche in cui abitano, la grande escursione termica tra la bella e la cattiva stagione spinge i caribù a compiere epocali migrazioni (fino a 5mila chilometri in un anno): durante il disgelo, branchi composti anche da decine di migliaia di esemplari si mettono in cammino verso Nord.
In estate, poi, vivono in grandi gruppi, per difendersi meglio, e per “condividere” il fastidioso problema delle zanzare e delle mosche: mal comune mezzo gaudio! In autunno i branchi diventano meno numerosi e inizia la stagione degli amori, caratterizzata da violente battaglie tra maschi per conquistare una compagna. Si sfidano a colpi di corna (i “palchi”) che, caso unico tra i cervidi, hanno anche le femmine.
Al termine della stagione quei grandi palchi cadono, per lasciare spazio a nuove corna e, rimasti a terra, diventano cibo ricco di calcio e sali minerali per gli animaletti del bosco (soprattutto roditori), mentre le renne si preparano a compiere una nuova, spettacolare migrazione verso Sud.
Migliaia di anni di evoluzione hanno dato alla renna comportamenti e caratteristiche fisiche incredibili, che le permettono di sopravvivere al terribile gelo invernale che rende le regioni artiche uno dei luoghi più inospitali del nostro pianeta. Temperature estreme, luce fortissima, buio perenne e bufere di neve: niente è troppo per la renna.
Ginocchia
Le ginocchia delle renne “schioccano”: in questo modo il branco riesce a rimanere unito anche durante la marcia alla cieca nelle più impenetrabili bufere di neve.
Occhi cangianti
Il colore degli occhi delle renne cambia seguendo i cambiamenti della luce polare: d’estate, quando c’è sempre luce, sono color oro, mentre appaiono blu in inverno, quando nell’Artico regna il buio.
Zoccoli transformer
D’estate gli zoccoli hanno dei cuscinetti spugnosi adatti al suolo morbido. In inverno si ritirano e la renna usa il duro zoccolo per arrivare al cibo sotto la neve. Ma se c’è ghiaccio non sempre ce la fa.
Cuore antigelo
Il cuore delle renne pompa il sangue in un sistema di arterie e vene che minimizza la perdita di calore. È per questo che le zampe sono circa 30 °C più fredde del resto del corpo!
Peli cavi
La pelliccia della renna ha peli cavi (ossia vuoti) e di forma conica: l’evoluzione li ha fatti così per consentire loro di trattenere più calore possibile intorno al corpo dell’animale, senza disperderlo.