Se pensate che il canto degli uccellini, il gracidare delle rane o il ruggito del leone siano solo suoni
privi di significato vi sbagliate: è il modo in cui comunicano gli animali. Noi infatti non li possiamo comprendere, ma questi segnali sono, per gli appartenenti alla stessa specie, un vero e proprio “linguaggio in codice” che serve per avvisare della presenza di un pericolo, dare informazioni o... fare dichiarazioni d’amore!
MAESTRI DI CONVERSAZIONE
Gli animali si parlano proprio come facciamo noi umani, e addirittura, in alcuni casi, hanno le stesse “regole” per affrontare una conversazione.
Uno studio dell’Università di York e Sheffield, in collaborazione con il Max Planck Institute for Psycholinguistics in Olanda e il Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology in Germania, per esempio, ha dimostrato che anche le scimmie, come noi, dialogano rispettando dei precisi intervalli di tempo tra il momento in cui uno dei due interlocutori finisce una frase e quello in cui l’altro la comincia: in genere si tratta di 200 millisecondi (il tempo che si impiega a pronunciare una sillaba); se questo intervallo aumenta, significa che la conversazione non è così interessante o, nel caso si sia fatta una domanda, che la risposta in arrivo sarà negativa!
LINGUAGGI ANIMALI
Il canto degli uccelli è senza dubbio, tra le forme di “linguaggio animale”, il più facile per noi da percepire, mentre altre sono difficilmente udibili dall’orecchio umano.
«Gli elefanti, per esempio, parlano tra loro attraverso infrasuoni, cioè frequenze così basse che l’orecchio umano non le può sentire» spiega Gianni Pavan, professore del Centro interdisciplinare di bioacustica dell’Università di Pavia. «Questi suoni possono attraversare grandi distanze: due pachidermi possono condividere informazioni nella savana anche se sono distanti chilometri».
Lo stesso avviene per alcuni animali marini che, non potendo comunicare attraverso segnali visivi, usano i suoni. I più famosi sono i “canti” delle megattere (Megaptera novaeangliae). «Questi grandi cetacei» continua Pavan «emettono dei suoni ripetitivi in varie frequenze, che somigliano a un canto. Sono soprattutto i maschi a produrre queste note per corteggiare le femmine: possono farlo anche se i due si trovano a 400 chilometri di distanza».
Spesso queste “interazioni vocali” tra gli animali servono anche agli umani: «Studiando i canti delle megattere, o i suoni di altri animali marini, si può per esempio fare un censimento di quanti esemplari sono presenti in una determinata zona e quali sono in linea di massima le loro dimensioni, perché animali grandi emettono tonalità più profonde» spiega ancora Pavan. «Il canto dei grilli, invece, può essere usato come “termometro”: questi insetti, infatti, sono eterotermi (hanno bisogno della luce del sole per scaldarsi) e cantano a frequenze che dipendono dalle temperature esterne. Per noi studiosi possono essere molto interessanti!».
Il vero problema, però, è che l’azione dell’uomo spesso interferisce con le comunicazioni tra animali: «L’inquinamento acustico del mare danneggia molto gli animali che vi abitano, che dialogano soprattutto con i segnali acustici» conclude Pavan «e spesso vicino a zone rumorose, come le autostrade, gli animali sono costretti a fuggire, o ad alzare molto il tono dei loro richiami. Questo provocherà, a lungo andare, molti danni alla biodiversità».
CHE VERSO FA...?
Sappiamo che il cane abbaia, il gatto miagola, il topo squittisce... Ma i nomi dei versi di alcuni animali sono davvero strani!
Ecco i più curiosi:
- La volpe guaiola
- Il coniglio ziga
- Il cervo bramisce
- Il gufo bubola
- La cicala frinisce
- Il maiale grufola
- L'orso ruglia
- Il tacchino gloglotta